Barbari, peregrini, dediticii nel mondo romano

1. Attualità del tema e sue diverse interpretazioni nel tempo

Alessandro Barbero analizza come il concetto di migrazioni barbariche sia stato interpretato in vari modi nel corso della storia, riflettendo sulle attualità contemporanee. In particolare, durante il primo Novecento, le migrazioni erano viste come invasioni, in un contesto di forte nazionalismo. L'idea di superiorità etica della razza latina portava a considerare i tedeschi come nemici barbarici che avevano distrutto la civiltà romana. Oggi, invece, si riconosce una lettura più complessa, in cui le differenze civili stanno venendo meno per lasciar spazio a questioni legate a ingiustizie globali e alla crescente interdipendenza. Gli storici contemporanei hanno concluso che le migrazioni precedevano di molto le vere invasioni, e che gli imperi avevano una certa capacità di integrare popula-zioni diverse ma che, a lungo andare, commisero errori che portarono a fratture tra i popoli.

2. Romani e barbari: una dicotomia assoluta?

Barbero sottolinea la persistente percezione di una divisione radicale tra Romani e barbari, una dicotomia che originate nella cultura greca, dove chi non era greco veniva considerato barbaro. Questa divisione ha influenzato la storia, lasciando il segno anche nell’atteggiamento romano nei confronti dei popoli sottomessi. Anche se i Greci avevano il loro sistema di valori, alla fine furono i Romani a vincere e a imporsi. Ciò nonostante, Barbero osserva come la cultura di opposizione persista: romani e barbari hanno sempre cercato di definire se stessi in contrapposizione agli altri, portando a una complessità storica che esplora anche le sfumature fra civiltà e barbarie.

3. Una politica pragmatica di inclusione ragionata

Nell’impero romano vi era una certa tolleranza nei confronti delle popolazioni sottomesse, riuscendo a convertire i barbari in sudditi accettabili nei propri confini. Si creò una distinzione legale tra cittadini romani e peregrini, i quali non godevano di tutti i diritti. Barbero narra l’episodio di Paolo di Tarso, che sottolinea l’importanza della cittadinanza e del suo potere. La cittadinanza romana non era solo una questione di nascita; veniva anche concessa in base a meriti e alla collaborazione dimostrata dai barbari durante la conquista. Questa strategia di inclusione dava vita a situazioni in cui i barbari, pur rimanendo tali, si integravano nell’impero diventando perni dello stato stesso.

4. I Barbari esterni e la questione immigrazione

La questione della migrazione non riguardava solo i popoli all’interno dei confini imperiali ma anche quelli ancora all’esterno. Molti barbari cercavano di entrare nell’impero, sia per sfuggire ai conflitti sia per proporre la loro manodopera per lavori agricoli e militari. Barbero sottolinea che, nonostante la mancanza di diritti civili, i migranti non erano considerati schiavi, ma piuttosto come dediticii, una categoria con un certo grado di libertà. L’impero era dotato di una struttura burocratica per la gestione e l’accoglienza degli immigrati, portando a una regolazione relativamente pacifica dei flussi migratori, anche se non priva di problemi.

5. L’inizio della fine

La situazione subì una drammatica evoluzione a partire dal 376 d.C. quando i Goti, spinti dagli Unni, cercarono asilo nell’impero. Gli ufficiali romani, bloccati dalla burocrazia e in conflitto con la pressione sociale, non riuscirono a gestire il flusso in arrivo. I problemi di corruzione e di scarsa organizzazione crearono tensioni e malcontenti tra i Goti, portando a una crisi che culminò nella battaglia del 378 d.C., nella quale l’esercito romano fu annientato. Questo evento segnò un cambiamento radicale nell'atteggiamento delle popolazioni barbariche nei confronti dell’impero, poiché i Goti rivendicarono diritti all'interno dei confini imperiali, stabilendo un pericoloso precedente per le future migrazioni.

Barbari, Peregrini e Dediticii nell'Imperium Romano

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